PM – PensieriMossi
Il blog di Progetto Marconi
Come imparare il public speaking sulla pelle degli altri
- Categoria: Public Speaking, Seminari
di Massimo Francone
E’ tutto pronto per l’inizio del seminario Come gestire gli esuberi di personale.
Le ragazze per la registrazione sono al loro posto, i relatori ci sono e vedo che si stanno spartendo gli spazi di tempo. La gente sta affluendo in sala, ed è anche puntuale. Ce n’è tanta.
Bene. Mi sembra tutto a posto. Dopo l’ansia da organizzatore ora finalmente posso passare all’ansia da prestazione. Ma non devo fare alcun passaggio: è già lì, a bloccare lo stomaco. Va bè.
“Fabrizio, dobbiamo iniziare..” mi rivolgo al dott. Bontempo ma in realtà è un modo per autoconvicermi: “Vai, è inutile che fai finta di aspettare ancora..prendi quel microfono e introduci il seminario!”
Del tragitto fino alla cattedra relatori non ho memoria, non so bene se ci sia arrivato da solo o mi abbiano portato a braccia. Sono in moviola: movimenti pesanti e sordo silenzio intorno.
Eccomi davanti al microfono, ora è impossibile fuggire. Vicino a me la fida agenda, con 15 parole scritte e 6 evidenziate: insomma, la mia traccia.
“Buongiorno!”, è forse più una prova per sentire la mia voce e comprendere subito che delle dieci regole del buon oratore dovrò sacrificarne qualcuna. “ Laggiu’ in fondo… chiedo al fotografo (al fotografo?!? ma nelle prove non dovevo dire “al mio socio”?!) se la voce si sente”. Chiedo, dunque, all’unico che in quel momento stesse facendo qualcosa. Ottimo.
La voce la sento tremolante, meno ferma delle altre volte e certamente non come immaginassi nei giorni precedenti. ” Ciò che percepisci tu è probabile che non lo percepiscano gli astanti” e spero sia effettivamente così. Ad ogni modo si cambia strategia: meno divertimento e più chiarezza. Meglio evitare le battute, se non escono naturali. Ma empatizzo: “ Fino a 30 persone non mi emoziono, oltre le 30 purtroppo si“. Molti sorridono, per fortuna. Entro nel merito, prendo
coscienza della situazione: imposto il tono, faccio pause nei punti chiave, enfatizzo le parole evidenziate e accompagno i concetti con la mimica del corpo. Tutto bene? Più o meno. Ogni venti parole ecco un fastidioso intercalare: “Ehhh”. Non me ne accorgo, lo capirò solo rivedendomi (ecco finalmente un punto a mio favore!).
Rispetto alle altre volte utilizzo molto di più gli spunti dell’agenda, ma con 15 parole incise sulla carta sono riuscito a spiazzarmi da solo. Poco male. Suddivido i quattro ambiti del mio discorso in modo che il pubblico abbia ben presente la mia scaletta: presentazione, obiettivi, logistica e ringraziamenti. Amo i chiari e voglio essere chiaro. Materia “Mentre parli guarda un pò tutti, specie il pubblico delle ultime file“: voto 4. Possibile lo abbia fatto, ma senza consapevolezza e quindi rimandato a settembre.
Giungo alla roulette russa dei ringraziamenti: se ne salto uno sono morto. Me li sono segnati, ma potrebbe non bastare. E infatti sono sicuro che il coordinatore uscente mi volesse striscia pedonale in autostrada nel non sentire il suo nome ma…in grande stile lo cito come ultimo ringraziamento, in pompa magna (meritata). La domanda è : l‘avrò fatto apposta? La risposta è: (omissis)
“Ora lascio la parola al dottor Bontempo, grazie a tutti e buon lavoro!”
Applausi.
Dieci minuti, tempi rispettati. La tensione mi svuota come un pallone, ma me ne accorgerò solo a fine giornata. Anche questa è fatta.
” Sei stato bravissimo!” Grazie. Ma non sono pienamente soddisfatto. E devo migliorare. Quindi? E’ andato tutto bene.