PM – PensieriMossi
Il blog di Progetto Marconi
Dimmi come hai vissuto ante-COVID e ti dirò chi sei.
Oggi sotto i riflettori della Grande Pandemia sembriamo una massa informe, tutta uguale: le esigenze sono identiche, i lamenti unisoni e gli incentivi a pioggia.
Ma prima? Prima, all’ombra del Nostro Quotidiano ciascuno di noi com’era?
Prima resilienza, digitalizzazione, nuovi modelli di business erano tendenzialmente assorbiti come i gesti della hostess ad istruire prima della partenza del volo. Molti non se ne preoccupano perché tanto c’è una possibilità su un milione …
Appunto.
Prima del Covid insomma era tra noi un altro virus, che con la salute non centra direttamente: quello dell’emergenza. Si sostanzia in una regola generale: agire nel momento stesso in cui il problema si presenti. Però agiamo. E per il fatto stesso di agire, quindi di fare tutto ciò che è nelle mie possibilità per uscire dal problema, mi assolvo. Se non risolvo la colpa non è più mia. Io ho agito. Cosa dovevo fare di più? (in pratica solo con i cari estinti è certo che ci diamo qualche colpa per non avere fatto abbastanza).
A volte però non basta agire, bisogna fare qualcosa di più. E’ nata recentemente la figura del crisis management, ovvero il processo attraverso cui un’azienda affronta una situazione che rischia di danneggiare la performance e la reputazione aziendale. In quel “affronta” c’è tutta la filosofia autoassolvente dell’agire a cui accennavo prima. Ma in realtà l’elemento innovativo del crisis management si colloca prima dell’agire: nella prevenzione, nella lungimiranza di guardare tutti gli scenari possibili e adottare una strategia di salvaguardia. Qui la ricetta cambia, non più agire ma agire per tempo.
E la sensazione è che la filiera italiana sia ben lontana da questa filosofia, nonostante gli orizzonti siano piuttosto chiari. Ante Covid, ad esempio, eravamo agli ultimi posti per lavoratori da remoto, anche perché a crescere di più negli ultimi anni sono stati i lavori scarsamente qualificati e a basso livello di istruzione, poco replicabili a distanza. Sarà per questo che nella fascia 25-34 anni abbiamo meno laureati che nel resto d’Europa oppure che la formazione continua degli adulti continua a non essere una priorità (20 su 100 contro i 40 su 100 medio dei Paesi OCSE). Sarà per questo che abbondiamo di laureati nelle facoltà che producono i maggiori numeri di laureati disoccupati o disallineati rispetto al proprio titolo.
In conclusione, cosa possiamo imparare da tutto ciò?
Che forse l’improvvisazione a volte è una virtù, ma raramente una cura. Che l’opposto, la pianificazione, a volte è vista come tempo sottratto all’agire, come teoria versus la pratica. Come il manager che parla mentre l’imprenditore risolve.
Ma nella pratica, quella vera, è necessario mettere nel budget del tempo lo studio del contesto e la previsione di ciò che potrà essere. Perché se sarà solo pioggia, avere l’ombrello può essere utile ma alla fine mi sarei solo bagnato. Ma se sarà tsunami, sarà più facile ricostruire.